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Quando lo Stato festeggia la sua sconfitta

di - mercoledì 18 febbraio 2015 ore 19:15

Sono solo alcuni dei commenti che hanno invaso la bacheca del gruppo Facebook di un sindacato di agenti penitenziari, l’Alsippe, dopo il suicidio nel carcere di Opera, a Milano, di un detenuto rumeno condannato all’ergastolo per l’omicidio di un vicino di casa.

Commenti inqualificabili, non giustificabili neanche con la frustrazione e le difficoltà che molti agenti di polizia penitenziaria devono vivere all’interno delle nostre carceri.

La mia indignazione si è trasformata in sdegno quando ho letto le affermazioni del leader della Lega, Matteo Salvini, che, commentando l’episodio, ha asserito di non condividerlo ma di capirlo. Cosa ha capito Salvini? Che la comprensibile frustrazione di un agente può arrivare fino al punto di deridere un morto e auspicarne altri?

Anche io ho capito qualcosa da queste frasi e da questi commenti. Ho capito che quelle frasi rappresentano un corto circuito nel quale pezzi dello Stato festeggiano la sua sconfitta. Perché il suicidio di un uomo all’interno di un carcere, qualsiasi siano le colpe delle quali può essersi macchiato, rappresentano la sconfitta dello Stato e della Costituzione sulla quale si regge l’equilibrio dell’ordine democratico. Ho capito che nella ‘gara dell’inqualificabile’ le parole di Salvini pareggiano, quanto a gravità, quelle degli agenti che hanno scritto su Facebook. Ho capito, infine, che quella di tenere insieme rispetto della legge e tutela dei diritti umani è una sfida che il nostro Paese è ben lontano da vincere.


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