Fantasmi in volo verso Bagan
di Blue Lama - domenica 09 giugno 2024 ore 00:05
Mi scoccia parecchio ammetterlo ma, nonostante la mia vocazione di viaggiatrice, ho paura di volare.
Ogni volta che salgo su un aereo, per tutta la fase cruciale del decollo - tecnicamente la più pericolosa insieme a quella dell'atterraggio - vengo assalita da una crisi di panico che cerco di mascherare rimanendo immobile e a occhi chiusi sperando che nessuno ci faccia caso, mentre il mio corpo si sbizzarrisce in tutto il repertorio dei sintomi: sudore freddo, ronzio nelle orecchie, tachicardia, respiro affannoso, crampi allo stomaco.
Il tutto però dura una decina di minuti, in pratica il tempo necessario per raggiungere la quota di navigazione. Poi, piano piano, mi calmo. Finora, per quarant'anni, è andata così. Con un'unica eccezione.
Era il 2014 e insieme alla mia amica Paola mi trovavo in Myanmar, un tempo nota come Birmania, nel sud-est asiatico. Un Paese splendido nelle sue sconvolgenti contraddizioni, politiche e sociali in primo luogo. Dieci anni fa, era anche un Paese dove le strade erano talmente poche e talmente malridotte che conveniva spostarsi in aereo.
Dopo aver trascorso qualche giorno nella capitale Yangon, il programma di viaggio prevedeva un volo interno per raggiungere l'area archeologica di Bagan, importantissimo centro di potere nel XIII secolo di cui oggi restano 2.500 templi, disseminati come gioielli in una vasta pianura. Paola ed io arrivammo all'aeroporto scortate da una guida.
Appena entrate nella hall, la guida ci prese i bagagli e poco dopo tornò con due scontrini che ci pregò di conservare per poter recuperare le valigie all'arrivo. Poi, indicando vagamente col dito verso destra, ci disse: "Check-in". Dopo di che ci salutó.
Non lo sapevamo ancora ma stavamo per entrare in una dimensione quasi surreale, dal punto di vista aeroportuale.
Per prima cosa scoprimmo che il banco dei check-in era un tavolo su cui erano sparpagliati alcuni fogli con gli elenchi dei viaggiatori. Un gentilissimo impiegato ci fece capire a gesti che dovevamo trovare il foglio con i nostri nomi e indicarli col dito ma non ci chiese alcun documento di identitá. Così, sulla fiducia.
Dopo il check-in ci fu consegnata la carta di imbarco: ci buttai un'occhiata e mi resi conto che il mio nome non c'era. La prima carta di imbarco anonima che mi fosse capitata. Mi sentii una passeggera fantasma e qualcosa cominciò a sobbollire dentro di me.
Percorremmo un corridoio ed entrammo in una grande sala piena di gente. Sulle pareti non c'era traccia di tabelloni con i voli. Ci sedemmo da una parte e cercammo di capire quale fosse la nostra porta d'imbarco. A quel punto scorgemmo un ragazzo che urlava qualcosa in birmano sollevando un cartello con il nome di una compagnia aerea e un numero. Capimmo che, se volevamo imbarcarci, dovevamo tenerlo d'occhio e aspettare che sollevasse un cartello con il numero del nostro volo, l'unico dato certo che avessimo in quel momento. Il gate ce lo avrebbe indicato lui. Probabilmente.
Alla fine salimmo in aereo senza aver mai mostrato il passaporto e ci accomodammo nei posti riportati sulle carte di imbarco. Nessuna delle due telefonò a casa prima della partenza, anche perchè in quell'aeroporto non c'era segnale.
Fu pochi secondi prima del decollo, quando ormai non potevo più scendere, che nella mente mi balenò un pensiero: "Accidenti, se succede qualcosa durante il volo, i nostri parenti come faranno a sapere che noi siamo davvero su quest'aereo?!".
Mi voltai verso Paola e farfugliai: "Sulle carte di imbarco non ci sono i nostri nomi, se succede qualcosa... la mia famiglia, i tuoi genitori... ci metteranno giorni e giorni per sapere che fine abbiamo fatto, chissà quando li avvertiranno, staranno malissimo...". In un crescendo inarrestabile di preveggenza funesta, mentre l'aereo si impennava per staccarsi dalla pista, mi esplose dentro un'ansia mai provata, alimentata dalla mia esperienza di cronista che mi aveva messo in contatto piú di una volta con il disorientamento e le lunghe attese di una conferma di chi perde qualcuno in un incidente aereo.
Quel volo durò un'ora e venti minuti e vi assicuro che andò tutto liscio come l'olio. Il pilota fu impeccabile, le hostess fra le più cortesi e rassicuranti mai incontrate. Ma io soffrii atrocemente per tutto il tempo, devastata dai sensi di colpa verso i miei cari rimasti in Italia. Quando rimisi piede a terra, giurai a me stessa che non sarebbe successo di nuovo.
Da allora, i miei familiari vengono aggiornati in tempo reale su ogni mio movimento all'estero e soprattutto sanno con certezza quando salgo su un aereo, anche grazie alla tecnologia che aiuta a rimanere sempre in contatto. Anche troppo, a volte.
E la paura di volare? Beh, quella è rimasta la stessa. Anzi, con questa storia delle superturbolenze provocate dai cambiamenti climatici è pure peggiorata. Ma la felicità che provo viaggiando resta più forte delle mie paranoie. E quindi continuo a partire.
Bluelama2023@gmail.com
Blue Lama