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Attualità sabato 09 settembre 2017 ore 14:30

Tutto il calcio dalla viva voce di Riccardo Cucchi

Riccardo Cucchi a Vinci

L'inconfondibile voce del radiocronista Rai, ospite per una serata dedicata al calcio in radio, ha incantato la platea con racconti e aneddoti



VINCI — “Il radiocronista è come il portiere: vive la sua stessa solitudine, è solo contro tutti. Ma è anche affiancato da una squadra, tante persone che lavorano affinché la sua voce arrivi nitida e tempestiva agli ascoltatori”. 

L'uomo solo in questo caso è Riccardo Cucchi, storica voce Rai di Tutto il calcio minuto per minuto, che il 6 settembre è stato ospite dell'Amministrazione comunale di Vinci nel corso dell'evento "Scusa Ameri...Radiocronache dal campo principale”, tenutosi nella cornice dei giardini di villa Reghini a Sovigliana. 

Con la sua voce tremendamente familiare, i toni sempre equilibrati e le sue storie ricche di aneddoti e retroscena sorprendenti, l'ex radiocronista della celebre trasmissione di Radio1 ha incantato il pubblico, che avrebbe molto probabilmente continuato ad ascoltarlo per tutta la notte, come a seguire una finale dei Mondiali di calcio che finisce ai rigori dopo oltre 120 minuti. 

Già, proprio come nel 2006. “Quella notte ho completato il mio sogno - ha ammesso -. Diventare radiocronista e raccontare una vittoria ai Mondiali della nostra Nazionale. Un privilegio toccato soltanto a Nicolò Carosio ed Enrico Ameri prima di me”. Il primo è il padre del radiotelecronismo sportivo italiano, che ha inventato un genere quando nessuno credeva che il calcio potesse essere raccontato in radio. Il secondo, insieme a Ciotti, ha rappresentato invece la sua consacrazione e la sua ineludibilità per un popolo che dal dopoguerra in poi si è nutrito di pane e pallone. I due sono stati i “padri” di Cucchi, che gli hanno consentito di imparare e diventare la prima voce della trasmissione. 

Il ritmo e la precisione nei dettagli di Ameri, il timbro, la competenza tecnica e le metafore di Ciotti: “Se esistesse il radiocronista perfetto, e non esiste, sarebbe la fusione tra Ciotti e Ameri - ha detto Cucchi -. Rappresentano i Coppi e Bartali del giornalismo sportivo e io ho avuto la fortuna di imparare molto da entrambi. Ciotti ad esempio suggeriva sempre di prepararsi uno 'zaino' di parole sulle spalle, da cui attingere quando ce n'è bisogno. Perché il radiocronista non deve essere più veloce del pallone e nemmeno più lento. Ma deve essere bravo nell'equilibrare il numero di parole nel tempo del gioco”. 

Il dualismo tra Ciotti e Ameri ha contribuito a far crescere il programma radiofonico sino a livelli che mai avrebbero sperato i suoi ideatori Bortoluzzi, Zavoli e Moretti. Una “competizione” professionale che ha vissuto anche momenti molto tesi e che, come ha raccontato Cucchi, aveva quasi portato Ciotti a rassegnare le dimissioni dalla Rai, dopo che Ameri lo aveva apostrofato con un epiteto non certo gentile in un involontario fuori onda a microfono acceso. “Per fortuna Ciotti fu convinto a restare - ha ricordato Cucchi in proposito -, ma i due non si parlarono per anni, finché Moretti non riuscì a fargli fare pace. Era un rapporto di amore e odio. Sicuramente si detestavano, ma io credo che non potessero fare a meno l'uno dell'altro”. 

Umile, appassionato ma sempre equilibrato nei giudizi, Riccardo Cucchi è un gentiluomo del pallone che nel calcio di oggi, fatto di denaro, sensazionalismo e polemiche, sembra stonare. C'è emozione e nostalgia nelle sue parole, quando commenta i contributi audio/video andati in onda durante la serata, con i ricordi di Carosio, Martellini, Ciotti, Ameri e Provenzali. E anche qualche rimpianto per ciò che il calcio è stato e che ormai non è più. “Sapete perché agli inizi Tutto il calcio trasmetteva solo le radiocronache dei secondi tempi delle partite? Perché la Federcalcio aveva timore che con la copertura di tutti i 90 minuti gli stadi si potessero svuotare. Immaginatevi un ragionamento del genere oggi, con le tv che impongono i loro orari”. E qui Cucchi manifesta il proprio disappunto, sempre con la sua proverbiale sobrietà, verso un'ingiustizia perpetrata nei confronti dei tifosi: “Una volta le partite erano tutte allo stesso orario e chi si abbonava allo stadio poteva programmarsi i week end. Oggi, invece chi si abbona non sa quando giocherà la propria squadra in casa, perché ogni settimana cambia il giorno e l'orario. È un danno enorme, a mio parere”. 

Dal 2018 potrebbero non esserci più partite in contemporanea ma uno spezzatino che va dal venerdì al lunedì. Sempre nel nome del dio denaro. Ed è chiaro che questo minerebbe la sopravvivenza di una trasmissioni come “Tutto il calcio minuto per minuto”. Ma non morirà, ne è convinto Cucchi, così come non è mai morta la radio dopo l'avvento della tv. Una trasmissione che sarebbe riduttivo definire solo “sportiva”. Perché in 60 anni di storia ha rappresentato un pezzo di cultura italiana, un collante sociale di straordinaria forza. È stata per decenni “la colonna sonora delle domeniche degli italiani”, diceva lo storico direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò, citato da Cucchi: “Ha dato un contributo fondamentale alla crescita culturale del nostro Paese, unificando e uniformando la lingua italiana dalle tante diversità linguistiche che all'epoca erano ancora predominanti”. Ha diffuso la lingua italiana dalla Val d'Aosta alla Sicilia, contribuendo alla riduzione dell'analfabetismo. Al contrario dell'epoca in cui viviamo oggi, in cui la lingua viene maltrattata dai sempre più numerosi cronisti e commentatori di calcio, che si inventano “lanci nello spazio”, “aggressioni della profondità”, “giocatori con piedi invertiti” o usano un gergo tecnico e figure retoriche sempre più astruse e astratte che non fanno altro che allontanare il vasto pubblico dei poco esperti, facendosi invece linguaggio per pochi: “Come diceva Montanelli - ha ribadito Cucchi - il cronista deve rendersi comprensibile a tutti. Ecco perché il racconto calcistico che si ascolta oggi in televisione non è come lo intendo io. Provate a riascoltare una radiocronaca di Ameri o di Ciotti. Io preferisco loro”. 

Ma a dispetto del racconto del calcio in tv, quello in radio sembra comunque mantenere la sua neutralità, il suo equilibrio, senza mai alimentare le polemiche. E c'è un motivo chiaro secondo Cucchi: “Mentre in tv la voce fa solo da didascalia alle immagini, in radio invece è sostanza e le parole hanno una forza tremenda. L'ascoltatore deve necessariamente fidarsi, per cui la radio deve raccontare la verità. Perché se chi ascolta dovesse smettere di credere nella parola della radio, allora il gioco finirebbe. Per questo chi è al microfono e vi descrive cosa sta accadendo in campo deve essere sempre prudente. Perché in fondo è sempre il suo personale punto di vista, che può essere quello di chiunque di voi. Il cronista è come un qualsiasi spettatore”. 

E poi stiamo parlando pur sempre di un gioco: “Perché come disse una volta Arrigo Sacchi, 'il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti'. Quindi cerchiamo di applaudire il successo dell'altro - esorta - Senza vedere nell'avversario un nemico, ma solo un avversario. Senza esasperare i toni, senza polemiche”. A questo proposito, Cucchi si dice favorevole all'ingresso del VAR, ma solo per un motivo: “Pensate a questo paradosso: fino allo scorso anno l'unica persona che non poteva riguardare le immagini era proprio colui che doveva prendere le decisioni. Ora finalmente anche gli arbitri sono messi nelle stesse condizioni degli altri”.


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