Il disagio del pollice
di Gianni Micheli - lunedì 28 novembre 2022 ore 08:00
Se l’evoluzione della specie umana seguirà il filone della tecnologia immagino che i nostri figli, nel giro di poche generazioni, avranno pollici molto più piccoli, pollici forse più agili, pollici a misura di smartphone. Pollici magri, pollici a dieta, pollici affusolati, pollici indicizzati. O forse, i pollici, scompariranno proprio.
La mia generazione, invece, non avrà sconti nel disagio assegnato ai pollici. Pollici tozzi nati per la terra, per la penna, per delicati strumenti di musica e arte, finiti a scontrarsi su un vetro, a lisciarlo, a segnarlo, a cercare lettere troppo piccole, numeri troppo fragili per la loro mole terrestre. A seminare racconti con semi di refusi - che fioriscono in risate e fraintendimenti - di cui il cuore, ogni volta, si rammarica intanto che la mente impreca.
Lo ammetto: i miei pollici soffrono di un disagio cronico. Mentre lo smartphone mi ricorda le due ore circa giornaliere passate a navigarci dentro, i pollici sbuffano e si lamentano anche se ogni volta, gli spiego, “è per lavoro”. A loro, va detto, spettano i compiti più difficili: far sì che un rettangolo che vale uno stipendio stia aggrappato all’aria, si colori di simboli, s’infili curioso come un cane dal fiuto infallibile in ogni tipo di ricerca.
Il successo delle storie sui social, credo, è dovuto anche a questo. Nelle storie, a scorrimento orizzontale, i pollici delegano spesso all’indice quell’ingrato compito dello scrolling. E solo lo scorrere di storie lo permette, con quei movimenti veloci di cui i giovani sono maestri.
Ma a me, le storie, non sono ancora entrate dentro. Preferisco i post. Mi danno l’idea che serva più lavoro per metterli in piedi, più riflessione, un po’ d’impegno, a volte anche un po’ di coraggio. Insomma che raccontino qualcosa di più vero, più urgente, più necessario. Ma forse sono semplicemente restio, per abitudini apprese, ad affidarmi al nuovo, a ciò che scorre e poi scompare.
E i pollici sempre lì, a fare il loro duro lavoro. Dal basso verso l’altro, dallo smartphone al mouse, con moderazione, se no l’occhio si stanca. E il pollice? Pure.
Il disagio del pollice ha una sindrome tutta sua: la “sindrome del pollice da smartphone”. Il movimento anomalo di questo dito prezioso, il “dito opponibile” ormai ingentilito, nasce proprio dal suo uso anomalo e si trasforma in una dolorosa tendinite - dolore da “textitis” - che può degenerare in artrite osteoarticolare. I giovani non ne sono immuni ma sono certo più rapidi nell’accesso ai nuovi strumenti come Whatsapp ormai ci ha insegnato, ad esempio l’uso indiscriminato dei messaggi vocali. Già: i messaggi vocali, un’altra di quelle faccende da smartphone che ancora non mi sono entrate dentro.
Possibile che nella crisi da social di questi giorni - il caso Twitter su tutti ma la famiglia Meta viene subito dopo - il disagio del pollice abbia qualche responsabilità? Certo è un problema di contenuti, di logaritmi, di salvaguardia dei dati personali da una soverchiante pubblicità, di pura spazzatura verbale e grafica immessa nei social in quantità e qualità industriale. Ma siamo certi che il disagio del pollice non stia facendo nulla per incentivare questo dibattito?
Personalmente confido nella creatività degli ingegneri informatici: soggetti anche loro agli stessi traumi certo sono già al lavoro per restituire ai pollici la loro dialettica oppositiva… a meno di un cambio di paradigma generazionale. Nell’attesa - e nella certezza che tante mirabolanti invenzioni non avverranno in tempi brevi o non riuscirò a farmele entrare dentro - la mia cura veste i panni di un clarinetto dove i pollici oppositivi, fraternamente, generano melodia. Senza pubblicità.
Gianni Micheli