Erasmo da Rotterdam e la guerra
di Adolfo Santoro - sabato 22 ottobre 2022 ore 09:00
Erasmo da Rotterdam visse a cavallo tra il 1400 e il 1500. Era definito “un uomo per sé”. Il 1500 è l’epoca della Riforma protestante, della colonizzazione delle Americhe e dell’inizio delle guerre non più all’interno delle nazioni, ma tra le nazioni; in Olanda la Borsa diventa internazionale e raccoglie i mercanti di tutti i paesi. Erasmo convive col danaro, ma ne è infastidito: crede nel potere persuasivo della cultura e, contro le guerre, scrive nel 1517 la “Querela Pacis” (il lamento, la denuncia, la protesta espressa dalla Pace), uno scritto intensi e profondamente etico, ma poco conosciuto.
Ecco che cosa dice la Pace di Erasmo:
"Se dunque io sono davvero la pace tanto esaltata dagli dei e dagli uomini, la fonte, la madre, la nutrice, la sostentatrice, la protettrice di tutte le cose buone che hanno il cielo e la terra; se senza di me nulla prospera, nulla è sicuro, nulla è puro e santo, nulla è gradito agli uomini né accetto agli dei; e se, al contrario, la guerra è il seme e l’oceano di tutti i mali della terra e per sua colpa tutto ciò che è in fiore marcisce d'un tratto, tutto quanto è sviluppato cade in rovina; se essa sconnette quanto sta in piedi saldamente stabilito e rende ripugnante quanto è piacevole; se, in una parola, essa è tanto abominevole da costituire un’istantanea rovina per ogni sentimento di religione e di pietà; se nulla v’è di più funesto per gli uomini e di più odioso agli dei, in nome di Dio immortale io vi chiedo: chi mai può credere che siano degli esseri umani che godono sia pure d’un barlume di ragione, coloro che a costo di tanti sacrifici, di tanti sforzi, con tanto ardore, con tanta capacità d’intelletto e con tanta sollecitudine si affannano a cacciare in bando la pace e a procurarsi a così alto prezzo tante sciagure? Se le bestie feroci mi odiassero in siffatta maniera, io lo sopporterei più facilmente e imputerei l’offesa alla natura che ha loro dato in cattiva sorte un carattere violento. Se io fossi odiata dagli animali che sono privi di ragione, perdonerei alla loro ignoranza, pensando ch’essi sono sprovvisti dell’intelligenza che sola può misurare i vantaggi ch’io offro; ma - cosa indegna e più che mostruosa - la natura ha prodotto un solo animale dotato di ragione, uno solo che sia capace di concepire l'idea di Dio, uno solo essa ha reso sensibile alla mutua comprensione: l’uomo. E tuttavia io trovo più facilmente accoglimento tra le bestie più feroci e tra gli animali più bruti che presso gli uomini.".
Erasmo precorre i tempi e afferma, tre secoli prima, i valori della Rivoluzione francese. Si tratta, è vero, di una Pace “borghese”, la Pace di un ceto che dimentica che anche i popoli colonizzati e, soprattutto la biodiversità hanno diritto alla Pace universale: la Pace, insomma, non è ancora ampliata dalla cultura della non-violenza. Ciononostante, bisogna apprezzare la coerenza di Erasmo!
La pace è il suo pensiero dominante fin dal 1504 quando dà alle stampe il “Panegirico a Filippo il Bello”, nel quale, fra l’altro, scrive: “La guerra è un gioco concertato dai potenti per mantenere la loro tirannia”. Nel 1506 scrive il famoso, ma perduto, “Antipolemos”, contro la politica del papa guerrafondaio Giulio II. Del 1508 è la prima stesura e stampa del “Dulce bellum inexpertis” (Chi ama la guerra non l’ha vista in faccia), in cui scrive: “Anche i grammatici hanno intuito la natura della guerra: alcuni sostengono ch’essa si chiama bellum per antitesi, perché non ha niente di bello né di buono... Altri preferiscono far derivare la parola bellum da bellua, belva: perché è da belve, non da uomini, impegnarsi in uno sterminio reciproco. Ma a me, definire animalesco e bestiale un conflitto armato, sembra ancora inadeguato. In effetti, gli animali vivono per lo più concordemente e socievolmente all’interno della propria specie, si muovono in gruppo, si difendono e si aiutano reciprocamente. … Cane non mangia cane; il serpente non aggredisce il suo simile; v’è pace tra le bestie velenose. Ma, per l’uomo, non c’è bestia più pericolosa dell’uomo”.
Anche in “L’Elogio della Follia” (1511) condanna la guerra come “opera di parassiti, lenoni, ladri, sicari, contadini, imbecilli, falliti, tutta quanta insomma la feccia della società”. La guerra nasce in regni dove prosperano ignoranza e corruzione, dove “il principe accantona le sue responsabilità per giocare a dadi, ballare, puttaneggiare, far musica, andare a caccia”.
Del 1514 è la lunga Lettera ad Antonio di Bergen, che inizia così: “Spesso mi meraviglio quale motivo spinga, non dico i cristiani, ma gli uomini in genere a tal punto di pazzia da precipitarsi, con tanto impegno, con tante spese e con tanti pericoli a reciproca rovina… Pensa, ti prego, da chi viene combattuta la guerra: da assassini, da empi, da infami, da stupratori, da spregevolissimi soldati mercenari, ai quali un piccolo guadagno è più caro della vita: tutta gente che è bravissima in guerra, dal momento che fa per guadagno e ritraendone onore, quel che prima faceva a proprio rischio soltanto. Per fare la guerra, bisogna accogliere questa feccia umana nei propri campi e nelle proprie città e bisogna riverirla, per potersi vendicare di qualcuno. E, pensa ancora quanti crimini si commettono col pretesto della guerra, quando le buone leggi tacciono nello strepito delle armi: quante rapine, quanti sacrilegi, quanti ratti, quante altre azioni infami, che si ha vergogna soltanto a nominarle. Questa rovina morale dura per molti anni, anche quando la guerra è finita. Calcola, ora, quanto costa la guerra: anche se si vince, il danno supera sempre il guadagno.”.
In “Il soldato e il Certosino” (1523) la guerra è indicata come frutto della peggiore pazzia, quella che rende l’anima “pura come la fogna di Parigi… come un cesso pubblico”. Nel “Caronte” (1528) fa dire al diavolo Alastorre: “Certi animali… non abbandonano mai le corti dei prìncipi: nelle orecchie dei quali insufflano l’amore della guerra. E alla guerra spingono il popolo ed i nobili, e persino nella spiegazione del Vangelo si mettono a sbraciare che è una guerra giusta, santa e pia. Le stesse cose predicano in un campo e nell’altro …. Ai francesi assicurano che Dio è coi francesi …. Agli inglesi e spagnoli dicono invece che questa guerra non è condotta dall’Imperatore, ma da Dio in persona, e che debbono mostrarsi coraggiosi, perché la vittoria è assicurata. Che se poi qualcuno dovesse crepare, costui non perirà di certo, ma bello e armato, salirà dritto al cielo.”.
Ovviamente la quasi totalità dei politici italiani (e non) direbbe: “Erasmo? Chi era costui?”.
Adolfo Santoro