Idrogeno vs nucleare ed altri dubbi
di Adolfo Santoro - sabato 16 dicembre 2023 ore 08:00
Grazie ad un artificio linguistico nel documento finale della COP 28 non si parla di “phase out”, cioè di abbandono del “fossile”, ma di “transition away”, cioè di transizione fuori dai combustibili fossili. Il vero sconfitto di questa fase è stata la Russia (e Trump, suo oggettivo alleato), che basa il suo potere su fonti fossili e nucleare: grazie a John Kerry e al suo omologo cinese c’è, a parole, una speranza in più nel mondo, che attualmente ricava per il 25% l’energia dalle “rinnovabili” e dal nucleare e per il 75% dal “fossile” (25% gas, 25% petrolio, 25% carbone), Il “rinnovabile” dovrebbe arrivare (tra il 2040 dei paesi virtuosi, come la Germania, e il 2070 di paesi poco virtuosi, come India e Cina) al 50%, mentre il restante 50% dovrebbe essere ricavato da fonti “non fossili” (idrogeno, con l’esclusione di fonti ecologicamente ambigue, come i biocarburanti); il tutto ad un costo economico anche più basso. Ma manca qualsiasi accordo che “costringa” i singoli stati a ridurre annualmente le emissioni di CO2: senza gravose “sanzioni verso gli indisciplinati” (cioè tutti gli Stati) non si va da nessuna parte!
L’unico “fatto” positivo, al di là delle “chiacchiere”, è la strutturazione del “Fondo perdite e danni” causati dai cambiamenti climatici nei Paesi vulnerabili, cioè nel gruppo delle 46 nazioni più povere al mondo, quelle meno inquinanti, ma più colpite dal riscaldamento; tali fondi però, a causa dell’opposizione degli USA, sono previsti solo su base “volontaria”, il che vuol dire solo “come carità”.
Ecco le “chiacchiere” del documento finale della COP28:
- Fuoriuscire (transition away) dai combustibili fossili: accelerare questa azione in questo decennio per raggiungere zero emissioni nette di carbonio nel 2050.
- Triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare la media globale del tasso annuo di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030.
- Accelerare gli sforzi verso la diminuzione graduale dell’energia prodotta dal carbone non abbattuto, ovvero senza tecnologia di cattura e stoccaggio.
- Accelerare gli sforzi a livello globale verso sistemi energetici a zero emissioni nette, utilizzando combustibili a zero e a basso contenuto di carbonio ben prima o intorno alla metà del secolo.
- Accelerare nelle tecnologie a zero e a basse emissioni, tra cui, tra l’altro, energie rinnovabili, nucleare, tecnologie di abbattimento e rimozione come la cattura del carbonio e utilizzo e stoccaggio, in particolare nei settori difficili da abbattere, e nella produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio.
- Accelerare e ridurre sostanzialmente le emissioni di biossido di carbonio a livello globale, comprese, in particolare, le emissioni di metano entro il 2030.
- Accelerare la riduzione delle emissioni derivanti dal trasporto stradale su una serie di percorsi, anche attraverso lo sviluppo delle infrastrutture e la rapida diffusione di veicoli zero e a basse emissioni.
- Eliminare gradualmente gli inefficienti sussidi ai combustibili fossili che non affrontano la povertà energetica o semplicemente transizioni, nel più breve tempo possibile.
Si dovrebbe, invece, fin da subito, tagliare il 90% dell’estrazione del carbone e il 60% dell’estrazione di gas e petrolio. I paesi dell’OPEC si troverebbero così a ridirezionare i loro guadagni dai fossili alla produzione di “idrogeno verde” (o a costruire centrali nucleari nel deserto). E questo entro il 2030 avverrà! Idrogeno e nucleare diventano così i veri competitor, che ambiscono ad affiancare il fotovoltaico (che ha alcuni limiti: tra tutti, la necessità di uno stoccaggio dell’energia ricavata dal sole e la disponibilità di metalli, come litio e nichel). L’idrogeno si sta proponendo sempre più come la soluzione tecnica, in tutti i sensi più vantaggiosa rispetto al nucleare (che l’ingenuo Ministro Tajani ha avventatamente definito come “strategico”), da affiancare al fotovoltaico nel medio periodo, tanto che i Paesi arabi sagacemente si stanno direzionando verso la produzione di idrogeno verde. Sorgono allora due domande. Che cosa impedisce di farlo anche in Italia dal momento che la fonte principale di idrogeno è l’acqua, compresa l’acqua marina? Che cosa impedisce un progetto di riconversione, nel medio periodo, delle apparecchiature del rigassificatore di Piombino verso la produzione di idrogeno? Che cosa impedisce agli ecologisti di rendere politico-economica, e non soltanto tecnica, la battaglia dell’idrogeno vs il nucleare? Che cosa impedisce agli ecologisti di farsi fautori a che, fin da subito, i soldi pubblici non vadano a finanziare i petrolieri dell’OPEC e alle “filiere” che ricavano energia dal carbone (USA, Russia, Cina, Australia, India, Germania, Kazakistan, Sudafrica, Polonia etc)? Che cosa impedisce di proporre una politica di iper-tassazione delle merci della “filiera” del carbone (da allargarsi alle merci riguardanti i beni non essenziali), di legiferazione immediata della “plastic tax” e della “sugar tax” ed una detassazione dei beni “essenziali”?
L’ipocrisia politica, al di là delle belle parole, non tiene conto del fatto che, come riferisce l’”Emission Gas Report”, se le politiche attuali verranno mantenute, si stima che il riscaldamento globale entro la fine del secolo sarà di 3°C. Il mantenimento di tutti gli impegni incondizionati e condizionati entro il 2030 abbassa questa stima a 2,5°C, con l’ulteriore adempimento di tutti gli impegni netti a zero che la portano a 2°C, ben lontano dagli 1,5°C degli accordi di Parigi.
Il “tapiro” ecologico (“Fossil of the day”) è stato assegnato, durante la COP 28, agli USA, ad Israele, al Giappone, alla Nuova Zelanda e allo stato canadese dell’Alberta. Ma anche l’Italia, popolo di ristoratori e albergatori, si è distinta tra i più servili ed ipocriti: il trend dell’ultimo anno del governo Draghi (che, come si sa, è proseguito, a livello economico, nel governo Meloni, che ha detto che “il PIL non può morire di green”) lo ha mostrato il “Climate Change Performance Index” 2024 (CCPI), uno strumento di monitoraggio indipendente pubblicato ogni anno dal 2005 per monitorare le prestazioni di protezione del clima di 63 paesi e dell’Unione Europea. Vediamo alcuni dati.
Nel 2022, il mondo ha speso 7.000 miliardi di dollari in sussidi ai combustibili fossili: una cifra record. Ciò è in parte spiegato dalla risposta dei governi all’invasione russa dell’Ucraina, ma dimostra anche che la dipendenza dai combustibili fossili è profonda. E mentre gli investimenti nelle energie rinnovabili sono in costante crescita, gli investimenti nei combustibili fossili rimangono elevati. Nel 2022, le principali aziende fossili hanno tratto profitti più che mai.
Il CCPI 2024 mostra che l’Italia, nella classifica dell’Indice, si colloca nel range “low” (“basso”) (era un anno prima nel range “medium”) perdendo ben 15 posizioni rispetto all’anno precedente. Dei quattro fattori esaminati (emissioni, energie rinnovabili, uso dell’energia, politiche climatiche) i più deficitari sono lo stallo per l’uso delle energie rinnovabili e le insufficienti politiche climatiche: questi due dati testimoniano bene la capacità di governance e la chiusura mentale, proprie di un governo reazionario. In particolare, riguardo alle emissioni l’Italia si colloca nel range “basso” (è, in Europa, insieme ad Irlanda, Polonia, Lettonia, Repubblica ceca, Bulgaria, Turchia e precede la sola Russia); rispetto alle energie rinnovabili, l’Italia, che aveva una buona posizione ai tempi dei governi Conte, si è allineata alla media europea; anche rispetto all’uso dell’energia l’Italia si colloca nella medietà europea; rispetto alle politiche climatiche l’Italia, pur rimanendo nel range “basso”, è separata da Polonia, Algeria e Bulgaria dal range “molto basso”.
Bisogna notare che i primi tre posti di ogni classifica del CCPI non sono assegnati, perché tutti gli Stati sono stati “indisciplinati”. Non c’è che dire: se gli ultimi due anni sono stati pioggia, si annuncia tempesta.
Adolfo Santoro