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sabato 06 dicembre 2025

DISINCANTATO — il Blog di Adolfo Santoro

Adolfo Santoro

Vivo all’Elba ed ho lavorato per più di 40 anni come psichiatra; dal 1991 al 2017 sono stato primario e dirigente di secondo livello. Dal 2017 sono in pensione e ho continuato a ricevere persone in crisi alla ricerca della propria autenticità. Ho tenuto numerosi gruppi ed ho preso in carico individualmente e con la famiglia persone anche con problematiche psicosomatiche (cancro, malattie autoimmuni, allergie, cefalee, ipertensione arteriosa, fibromialgia) o con problematiche nevrotiche o psicotiche. Da anni ascolto le persone in crisi gratuitamente perché ritengo che c’è un limite all’avidità.

​La cleptocrazia e lo studio sociologico della propaganda di guerra

di Adolfo Santoro - sabato 06 dicembre 2025 ore 08:00

Le vicende di Totò Cuffaro e di altri piccoli esponenti della politica nazionale, i contributi a pioggia ai propri amichetti contro il bene comune che è diventata prassi comune soprattutto grazie a Trump e alle altre autocrazie consimili, le vicissitudini di una sedicente sinistra in ambito europeo sgamata dalla magistratura belga e, soprattutto, la disinvolta collusione del governo USA e di quello ucraino nella corruzione – per non parlare della tracciabilità delle armi donate alla causa ucraina – pongono sempre più al centro dell’attenzione il tema della cleptocrazia, che è il sistema dei ladri al potere, dei cleptomani al potere, in cui leader corrotti usano il potere pubblico per arricchire se stessi o le proprie fazioni politiche, sottraendo ricchezza e risorse al paese e alla popolazione. Ne conseguono quella povertà diffusa e quella stagnazione economica che è la strada tragica che sta percorrendo l’Italia, l’Occidente, ma, in definitiva, la presenza dell’uomo sulla Terra.

Come Sansone l’uomo preferisce, piuttosto che fidarsi di accordi internazionali di pace, imporre il diritto del più forte, che ha come obiettivo la predazione, propria della vittoria, com’è illustrata dalla favola di Fedro Il lupo e l’agnello, che paradossalmente sembra ripercorrere la storia della NATO: un lupo e di un agnello si abbeverano allo stesso torrente; il lupo, anche se si trova in un punto più alto del corso del fiume, accusa l'agnello di sporcare l'acqua che lui sta bevendo; ma, l’evidenza della malafede induce il lupo a un’escalation: accusa l’agnello di aver parlato male di lui; l’agnello ribatte che, al tempo delle maldicenze descritte dal lupo, lui – l’agnello – non era ancora nato; al che il lupo, che era già NATO, conclude che doveva essere stato il montone padre dell’agnello e, lanciatosi sull’agnello ragionatore, lo uccide e lo mangia.

Esempi storici estremi di cleptocrazia, fatta di un connubio di predazione e corruzione, sono stati l’estorsione degli esattori delle tasse dell’antica Roma, la simonia del Medioevo, il sistema delle tangenti delle corti rinascimentali, gli abusi delle Compagnie coloniali, i graft degli USA di fine ‘800, la Tangentopoli/Mani pulite italiana, la Lava Jato brasiliana e numerosi altri casi contemporanei, che trovano terreno fertile nelle guerre.

Nei contesti bellici o para-bellici queste logiche si amplificano, perché la guerra, oltre a distrarre la massa dai problemi interni della nazione guerrafondaia, riduce la trasparenza, giustifica spese eccezionali, concentra il potere esecutivo, delegittima controlli interni ed esterni. Ne consegue che l’economia di guerra è redditizia per chi controlla il potere, mentre è devastante per la società. Nell’economia di guerra l’opacità dei fondi neri diventano un paradiso:grandi quantità di denaro vengono spostate in canali riservati (fondi speciali, spese militari classificate, operazioni d’emergenza). La sicurezza nazionale rende difficile ogni controllo e giustifica sovrafatturazioni, contratti gonfiati, acquisti fittizi di armi, commissioni occultate, riciclaggio attraverso società di comodo.

La guerra produce, oltre all’acquisto di armi, le spese per la logistica, la ricostruzione post-bellica, la sicurezza privata, la fornitura alle milizie di cibo, carburante, equipaggiamento. Questi appalti possono così essere assegnati a imprese controllate dall’élite politica, dai militari o da loro alleati economici. Lo Stato così spende pagando molto più del necessario, mentre una parte incontrollata dei fondi torna a chi detiene il potere sotto forma di tangenti o dividendi occulti.

La guerra non serve solo a distruggere la popolazione civile e il contesto naturale. Molti conflitti moderni permettono il controllo e il saccheggio di risorse naturali come petrolio, gas, diamanti, oro, coltan, legname pregiato, fosfati, terre rare. La guerra serve allora a militarizzare l’estrazione, cacciare comunità locali, consegnare concessioni lucrative a società legate alle élites, trafugare risorse attraverso reti di contrabbando. La scarsità dei beni primari chiude l’economia, ma questa condizione tragica per le popolazioni è un vantaggio per le élites corrotte, che possono sfruttare, quasi senza concorrenza, attraverso mercati paralleli e monopoli di importazione e contrabbando. La guerra diventa un business in sé, infine, attraverso il finanziamento di milizie private, il controllo di agenzie di sicurezza e l’imposizione di pedaggi/protezione ai civili o alle imprese.

La ricostruzione post-bellica è una seconda fase della predazione: il finanziamento - proveniente da aiuti internazionali, investimenti per infrastrutture, fondi per abitazioni, strade, energia - può essere intercettato attraverso aziende pubbliche corrotte, ONG di facciata, mediatori politici, appalti truccati.

La preparazione e la continuazione della guerra hanno però bisogno del nazionalismo come copertura ideologica. Le élites invocano così l’unità nazionale, dipingono la critica come tradimento, accentrano poteri emergenziali, eliminano opposizioni scomode. Per avere più opportunità di arricchimento sistemico l’obiettivo non è vincere rapidamente, ma prolungare una situazione di eccezione che permette l’accesso diretto alle risorse, i flussi finanziari non controllati, gli appalti clientelari, il monopolio dell’economia di guerra, il riciclaggio di capitali.

Il nazionalismo si fonda sulla propaganda di guerra: campagne mediatiche e tecniche di influenza collettiva per orientare l’opinione pubblica nell’accettare o nel credere inevitabile un’economia di guerra.

La propaganda diventa il ponte tra élites economiche (industrie belliche, operatori logistici, imprese minerarie, contractors), élites politico-militari e opinione pubblica. Essa permette di creare consenso per l’aumento della spesa militare, per ridurre le resistenze al sacrificio economico, per legittimare la prosecuzione del conflitto anche quando esistono vie negoziali, per trasformare la guerra in un orizzonte normale della politica. Le élites di guerra – politiche, economiche e militari – utilizzano apparati informativi, media e narrazioni collettive al fine di

- ottenere sostegno a politiche di riarmo o escalation,

- demonizzare l’avversario,

- presentare la guerra come necessaria o senza alternative,

- accrescere la disponibilità pubblica a sacrifici economici o fiscali,

- mascherare gli interessi materiali legati al conflitto.

La sociologia ha già studiato in modo approfondito la propaganda guerrafondaia.

Ha iniziato dall’analisi delle narrazioni dominanti (narrative analysis) valutando

- la ricorrenza di frame come minaccia esistenziale, nemico assoluto, inevitabilità del conflitto, coesione patriottica, guerra difensiva, sicurezza nazionale, lotta contro interferenze esterne, deterrenza indispensabile, competizione strategica, difesa della democrazia;

- le strategie che trasformano scelte politiche in necessità naturali;

- la riduzione dello spazio per posizioni critiche presentate come anti-statali, ingenue o filo-nemiche.

È poi passata alla mappatura degli ecosistemi mediatici (Media ecosystems mapping) attraverso

- la mappa degli attori informativi: i media statali, i media privati, gli opinionisti esperti (think tank), gli influencer, gli account coordinati,

- l’analisi delle linee editoriali durante crisi o escalation,

- lo studio della centralità di certe narrazioni tramite algoritmi di raggruppamento (clustering) e modellamento degli argomenti (topic modeling): ci si domanda, ad esempio: Quali messaggi diventano egemoni? Quali vengono marginalizzati? Chi finanzia o influenza i nodi centrali della rete mediatica?

Un altro passaggio è lo studio

- delle tecniche di incorniciare - framing - (ad esempio, framing della minaccia: il rischio è imminente, bisogna moralizzare il nemico),

- delle tecniche di caricamento – priming –, che enfatizzano continuamente temi sicurezza/ordine per predisporre l’opinione pubblica,

- degli eufemismi che occultano costi e rischi: operazione speciale, missione di stabilizzazione, missione di pace, no-fly zone.

La sociologia è passata ancora a studiare l’opacità informativa (fog of war): la scarsità di dati affidabili alimenta

- la dipendenza dai canali ufficiali,

- le limitazioni all’accesso dei giornalisti,

- il controllo delle immagini dal fronte,

- la censura diretta e indiretta,

- le pressioni sugli esperti non allineati.

La sociologia connette, infine, propaganda e industria bellica evidenziando le possibili interazioni sistemiche:

- gli opinionisti esperti (think tank) sulla sicurezza, finanziati legalmente da aziende della difesa, producono analisi che orientano l’agenda mediatica;

- gli editoriali enfatizzano urgenze militari mentre vengono ciclicamente approvati nuovi budget;

- le conferenze strategiche sponsorizzate da industrie della difesa diventano nodi di diffusione delle narrative.

L’Italia sembra essere a metà del guado dell’opera di propaganda guerrafondaia che sta cercando di traghettarla verso la catastrofe totale. In considerazione del fatto che la stragrande maggioranza ha un’opinione formalmente pacifista, ma facilmente ipnotizzabile dalle gare delle trasmissioni televisive e dal tifo dello sport, la propaganda deve allora agire in modo cauto e manipolativo: il camuffamento della realtà arruola schiere di giornalisti – della carta stampata e della maggior parte delle televisioni – che cercano di normalizzare l’idea fantasiosa di una guerra tutta da inventare. Ma anche la propaganda ha le sue falle: tal Cavo Dragone, generale italiano in prestito alla NATO, ha smascherato la guerra ibrida,in cui siamo già impegnati: piuttosto che ammettere la disfatta, la NATO punta all’escalation, preparata dal controllo di scuole e Università … tanto al resto ci pensano i big di Sanremo.

Perché si sa: la guerra è bella, anche se fa male.

Adolfo Santoro

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