Fiamme
di Marco Celati - mercoledì 12 ottobre 2022 ore 07:00
La monarchia sembra torni di moda. Tiene banco sui rotocalchi gossippari e popolari e nel meriggiare, né pallido, tantomeno assorto, dei talk show televisivi. Nemmeno io, pervicace repubblicano, mi sottraggo e proseguo con il siparietto sulla nobiltà della Valdera. La più alta. Il nobile precettore Francesco Maria da Casciana, Visconte di Caldana e del Fichino, vulgo “Favati”, si è chiuso in un contemplativo, eloquente silenzio. Dal popolino minuto è detto anche “Trapanone”, non si capisce se in senso elogiativo o no, ma ciò non desti stupore. Dai Toscani, del resto, il mite Granduca Leopoldo II, bonificatore delle Maremme, era affettuosamente appellato “Canapone”, per la folta asburgico-lorenese e bionda capigliatura. In compenso ha continuato ad esternare il Barone Lorenzo, dalla vetta della Podesteria di Peccioli e del sito di Legoli. Che dire da parte del sottoscritto, modesto nobiluomo pianigiano di un anonimo casato in decadenza, del diruto Castello di Pontedera, ormai privo di titoli, impoverito e imborghesito? Un mio settecentesco antenato era soprannominato “Canapino”, non in antitesi all’aristocratico capelluto “Canapone”, ma in quanto cordaio popolano che lavorava la canapa. Il silenzio si apprezza. È confortevole. Niente rafforza l’autorità quanto il silenzio, sembra dicesse il famoso generale francese, conservatore, che combatté i nazisti. E non fu il solo conservatore antifascista in Europa.
Di ritorno dalla mostra del valente pittore Marcello Scarselli, dedicata ai fratelli Taviani, a Lucca, con la compagna siamo capitati a cena in un bel ristorante delle Quattro Strade, accomodati accanto ad una fin troppo allegra e chiassosa tavolata di giovani lavoratori, una rarità per i tempi, gente a cui non mancava l’appetito e nemmeno la voce. Diciamo che se fossero stati almeno afoni sarebbe stato meglio. Toscani e italiani facciamo di tutto per farci riconoscere. Che bello se al mondo fossimo venuti su come una specie muta! Come i pesci. E se muti fossero anche il canetto abbaione del vicino e qualche garrulo uccello, compreso quello che mi ripete da lontano e di continuo: o ciucco, o ciucco, o ciucco! Pennuto fastidioso che come dargli torto!
Sto leggendo di Michele Serra “Le cose che bruciano”. Mi immedesimo nel racconto. Beato chi scrive così bene! Venisse una fiamma che brucia il passato e le altre fiamme! Siamo pieni di cianfrusaglie, di scatole di libri e oggetti vari, soprammobili rimasti senza mobili cui stare sopra, stipati nei bustoni plasticati dell’Ikea. Tutti frutti e cumuli di altre epoche, di altre vite. Ricordi, ricordi, ricordi. Passato che ingombra un eterno presente. Vita difficile e futuro incerto. E tutto a prendere polvere direttamente dai recessi dell’anima fin negli scantinati dei palazzi.
A chi ho dato il tavolo tondo? La perdita degli oggetti e della loro memoria mi ossessiona quasi quanto la perdita delle soggettività e delle identità. Avranno un’anima le cose che furono nostre, un ricordo di noi? Ma forse è perché viviamo nell’accumulo di beni materiali, convinti che sia sempre un bene. La solita storia di essere ed avere. O forse è diverso e non saprei perché. Forse le cose e le persone andate hanno fatto parte di noi e ancora ne fanno. Lacerti, ferite, bruciature. E noi siamo ciò che resta.
La destra vince. Bene, anzi male. Ma il pollice e la sinistra opponibili hanno avuto, nell’ordine, un’importanza notevole per il progresso evolutivo della razza umana. Rimanendo alla preistoria e saltando di palo in frasca, nella discesa dagli alberi alle caverne, dalle scimmie a noi, osservando garage e ripostigli della recente era, sono sempre più convinto che anche l’invenzione del fuoco ha avuto la sua importanza per l’umanità ed il suo futuro. Più di faldoni e scatoloni pieni di cianfrusaglie, passati e ingombranti residui dei pesanti traslochi delle nostre dimore. Un falò liberatorio, una danza tribale per esorcizzare i demoni della memoria e via! “La fiamma è bella”, dopotutto, diceva la figlia di Iorio. Che poi come farà una tragedia, ancorché pastorale, a comprendere un personaggio femminile di nome “Favetta” lo sa solo D’Annunzio! Confido comunque nel progresso e nell’evoluzione della scienza: l’invenzione del teletrasporto e, soprattutto, di un raggio disintegratore sarebbero un toccasana per il faticoso cammino dell’umanità.
In passato, i miei avi devono essere andati scalzi e ignudi sulla terra. Ne conservo probabilmente una memoria e una paura atavica e così accumulo in maniera seriale scarpe e vestiti. Non roba costosa, articoli da saldi e occasioni, ma tutta insieme, magari sì. Però non posso stare senza accollate polacchine o intramontabili giacche. Che si accumulano e affollano gli armadi, giacciono nei ripostigli. Le scarpe poi! Non patisco il sudore dei piedi come un amico, caro alla memoria, anche quella olfattiva, però ho una camminata sghemba, oscillante. Dondolo. Che sembra l’ottavo dei sette nani. Così le scarpe mi si consumano ai lati delle suole e dopo mi fanno male a portarle. E questa per comprarle è un’ottima scusa. Però le vecchie non le butto. Sopra sono nuove, mi dispiace, ma, consumate in quel modo, non si possono nemmeno donare ai più poveri. Già che sono poveri, non importa che vadano anche zoppi! La povertà non sarebbe un buon motivo per infierire. Perciò le ammucchio nelle scarpiere o le impilo nelle loro scatole sugli scaffali, nel ripostiglio. Dovrebbero fare le scatole trasparenti, così si potrebbero vedere e ricordarci quando le portavamo ai piedi calpestando, fieri, la terra, in riscatto dagli scalzi antenati.
“Donne, vita, libertà”, gridano le donne iraniane. Mahsa Amini, uccisa dalla “polizia morale” per il velo mal portato o rifiutato. Per protesta si tagliano i capelli. Cantano canzoni della Resistenza. Perfino “Bella Ciao”, la “canzone politica” che Laura Pausini si è rifiutata di cantare alla televisione spagnola. Saman Abbas, la diciottenne pakistana uccisa dai genitori perché non voleva sposare un uomo impostole dalla famiglia ed aveva un suo ragazzo, peraltro pakistano. Le donne afghane recluse nel burka dai crudeli talebani, alle quali è proibito studiare, fare sport, avere cariche pubbliche, uscire senza un uomo. Medio Evo prossimo venturo. Stati confessionali, lugubri religiosi ayatollah al potere, madri e padri padroni, barbare usanze. Che brucino tutti nelle fiamme! Possibile che il mondo se ne freghi, che l’Islam moderato, più laico e tollerante non insorga? Per le donne e la libertà di tutti, per il rispetto stesso della loro fede. Mentre il mondo ci chiede giustizia e leggerezza.
A tarda sera innocue velature occupano il cielo. L’estate sembra non voler morire e l’autunno si fa dolce. Osservo le facciate dei palazzi e le finestre semiaperte. Ciò che si intravede dietro tende o persiane. Luci già accese, passaggi di ombre, tristezze, inutilità apparente della vita. Che pure è tutto. Tempo e silenzio. Vi dedico l’ottobre ed è tanto. Basta. Diremo più tardi quello che deve essere detto, anche se “più tardi” sarà troppo tardi o sarà mai.
Pontedera, Ottobre 2022
Marco Celati