Ospedale
di Marco Celati - mercoledì 12 luglio 2017 ore 08:32
Pronto soccorso: in ambulatorio una bambina piangeva a vita tagliata. Ci dovrebbe essere risparmiato il dolore. Almeno ai più piccoli che non hanno accumulato sufficiente vita e ragione di sofferenza.
È incredibile la quantità di aghi, fili, sonde, cateteri, che possono essere infilati su e giù per tutti gli orifizi o i pertugi del corpo umano dalla medicina moderna. Restiamo così, infilzati per ogni dove, collegati, come marionette esauste, a fili connessi a computer o a tubicini aggettanti in sacche dove si riversano gli umori osceni del corpo.
Lungo il corridoio di chirurgia infermieri e infermiere, al cambio del turno commentano la giornata, si passano la voce, mentre zombie convalescenti si aggirano con incedere malfermo, tenendo in mano buste piene di sangue, di siero o di urina, esibite a passeggio come borse di Gucci. Com’era quel film? “Sangue e urina”.
Il mistero del male ci sorprende, il corrompimento della perfezione, della giovinezza. Ci atterrisce la paura, la sofferenza è un imprevisto non contemplato. Poi c'è una prima volta per il catetere urinario nel pene e per il grido. Faccia un bel respiro, stringa i denti. Non ce n'ho denti. Se la proliferazione della razza umana sulla Terra fosse stata affidata al genere maschile, piuttosto che partorire, ci saremmo subito estinti.
E c'è una prima volta anche per la padella sotto il culo, smerdarti e farti lavare dalle infermiere. Che non è come farci fare l’amore di quella canzone. La speranza di guarigione e di vita passa per le corsie della vergogna e del dolore.
Il male è adattativo e riservato, però chiedi i tuoi cari, gli amici, gli affetti, ne senti il bisogno, ma misuri quanto dato e quanto avuto e la bilancia non è a tuo favore. Speri solo che anche per gli stronzi un paradiso ci sia.
Francesco della casa famiglia si agita, ha paura di “affogare”. Dice gli hanno tolto un “polpo” dall'intestino, ha un “tondino” nel naso, la “frebo” e il “catere”. È tenero e coraggioso. Chiede i nomi di tutti, telefona con il cellulare, guarda la tivvù. Ma non il calcio, gli piace la serie di “Happy days”! Ha cinquant’anni e dice che non si sposa, non gli garbano le donne: vogliono soldi e comandare. Il problema è andare di corpo.
Signor Ticciati, occorre riempire la scheda del ricovero. Quando è nato? Presto, nel '36. È mai cascato dal letto? Da piccino, forse. Problemi di deambulazione, ce la fa a camminare? Insomma, ora mi accompagno con la mazzetta perché ho avuto l'influenza che m’ha indebolito le ginocchia. Che cure fa? Prendo queste pasticche per il cuore e queste per l’intestino. È allergico a qualcosa? All’ospedale.
Inshallah, dice l'amico venuto dal Senegal, se Dio vuole! Va bene, ma cosa vuole? Se questo è il programma della giornata speriamo voglia cambiarlo.
Purè e semolini sono il piatto forte dell’ospedale. Beve? Deve bere tanto, beva! Bevo, bevo. Sarà che faccia bene tutta quest’acqua.
Passa un frate cappuccino al mattino e un prete il pomeriggio. Recitano una preghiera e ci fanno gli auguri di buona salute. Insomma. Chi crede si segna. Chi non crede si tocca, ma ringrazia. Almeno la salute dell’anima è assicurata, confidando nella divina provvidenza. Per quella del corpo confidiamo nella sanità pubblica. Probabilmente le due cose non sarebbero incompatibili, ma dipende dai punti di vista. Comunque ci vuole una buona dose di fede e di stato sociale.
Nella targhetta identificativa di tanti camici bianchi che ti soccorrono c’è scritto studente di medicina. Sapranno quello che fanno e, in ogni caso, sono qui ad impararlo. Il loro tirocinio è su di noi, ci pensi un po' preoccupato, ti fa strano, ma poi convieni che in mezzo alla malattia e alla sofferenza, alla vecchiaia e alla morte è confortante che ci siano ragazze e ragazzi che studiano la scienza ed il futuro. Comunque vada è bello saperlo, ti dà speranza, perché viene da immedesimarti nel loro domani.
Marco Celati
Pontedera, 28 Giugno 2017
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Il film era “Sangue e arena”, la battuta “Sangue e urina” era di Giuseppe Salcioli; “e a farci fare l’amore, l’amore dalle infermiere” è un verso di “Generale”, la canzone di Francesco De Gregori. Ogni riferimento a fatti e persone descritte, anche se non puramente casuale, è frutto della mia dolorosa fantasia.
Marco Celati