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venerdì 15 novembre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Confessioni autoreferenziali

di Marco Celati - mercoledì 21 settembre 2022 ore 07:00

Era lento. Lo sapeva. Non era naturalmente dotato di un’intelligenza vivace, non prendeva le cose alla prima, né aveva sempre una risposta pronta, una soluzione adeguata. Rimaneva spesso indietro. Una condizione che la vecchiaia, un’incipiente sordità e la sua compagna non potevano che rimarcare. E sovente se ne incaricavano. Da giovane sarà stato anche veloce, ma alla fine si è quel che si è, non chi siamo stati. Comunque, in questo mondo di intelligenze sopravvalutate e finti geni, c’era da contentarsi.

Nemmeno era particolarmente brillante. Togliamo pure il “particolarmente”. Non era brillante. Dopo un approccio iniziale, negli incontri sociali o, peggio ancora, conviviali rimaneva taciturno. Se ne stava “mutànghero”, morettianamente in disparte, per gran parte del tempo perché non riteneva di aver niente da aggiungere alla compagnia degli astanti e alla loro conversazione. Che a volte, per la verità, si profondeva nella dissertazione del più e del meno, materie su cui non era ferrato, né sapeva distinguere bene. Forse che sì, forse che no.

Probabilmente soffriva di una forma di agorafobia oppure aveva esaurito gli argomenti pubblici in una vita passata. A volte pensava di essere affetto da una lieve forma di autismo sociale perché più di tanto non reggeva gli incontri, i saluti, i convenevoli. Le relazioni, insomma. Gli veniva solo da scrivere, più che parlare. E vivere in ciò che scriveva. Così, a suo modo, in questo mondo falso-social e interconnesso oltre la sfera del lecito, si distingueva. Tristemente, ma ostinatamente asociale. E tuttavia riusciva comunque ad essere pesante, ingombrante. O ritenuto tale. Perché risultava noioso, ripetitivo, di una noia mortale. Eccheccazzo! Oggi s’impongono la brevitas, le comunicazioni istantanee, le sintesi fulminanti, le semplificazioni del complesso con il complesso delle semplificazioni. E lui non era breve nemmeno nelle short stories e se a volte lo era, era solo per colpevole svogliatezza.

La mia generazione, diceva, è stata educata ai ragionamenti lunghi, ai pensieri articolati, densi di rimandi e citazioni. E, semmai, ci sentivamo poco preparati e non adeguatamente provvisti di conoscenza e sapere. Se no che ci si sta a fare al mondo? Qual è il nostro significato? E sì che “Eugenio” ci aveva avvertiti dello “spacco” che viene senza strepito, ripeteva, come fossero stati in confidenza. Conveniva ripiegare, ammarare la flotta tra le siepi. “Chi ha edificato sente la sua condanna. E’ l’ora che si salva solo la barca in panna”. Citava, per fingere di essere colto. E io che non ho la barca e nemmeno mi piace la panna? Si chiedeva, scherzando, credendosi spiritoso di natura.

Ormai dimenticava le cose. Quali cose? Non ricordava. Qualsiasi cosa. Confondeva tempi, volti e nomi, incespicando nelle parole. Smarriva gli oggetti o se ne scordava. Dice, chi non ha testa ha gambe e di gambe gli toccava averne parecchie e spesso. Che oltretutto reggevano anche poco. Solo camminare. Vietato correre: una questione di cuore, di fiato e di giunture. Dimenticava gli anni, affastellati nei ricordi secondo una sequenza non cronologica, ma catalogata a sentimento, a sensazione. A caso. E allora, tutto sommato, si sentiva in linea con questo tempo volubile ed immemore. Diceva, va bene così, lasciatemi stare: a una cert’ora bisogna rincasare e a una cert’età tirare i remi in barca. Ancora, con queste metafore indolenti sulle barche! Insomma era tempo di arretrare con fermezza. Che già i tempi sembravano più arretrare che avanzare. E ogni giorno quest’ansia del risveglio. Non è facile vivere, andare avanti.

E poi, alla fine, cosa rappresentano questi scritti? Danno una falsa immagine di te, servono solo a metterti in mostra, diceva, impietosa, la compagna. Cosa sono? Racconti, per quanto possibile brevi? Testi? Pe(n)santi leggerezze? Presunzioni di sé, sciocchezze. “Nugae” prosastiche e scazonti, nel senso di zoppicanti -e zoppicano- a voler dar loro importanza -e se la danno- che con Catullo, oltretutto, non hanno niente a che vedere. Ma tant’è: non sapeva resistere alla scrittura, sfuggire a quel vizio vanitoso. Mi dispiace e mi piace al tempo stesso, diceva. Che volete farci? L’uomo è contraddittorio. E “ciabaro”: termine perettiano, del professor Peretti, detto la Pera. Si trincerava contro le critiche, si schermiva ai complimenti, allergico alle infamie e alle laudi, alle denigrazioni come agli apprezzamenti.

Malinconie prive di accidia, iracondia o apatia, ecco cos’erano. E non nostalgie, che le nostalgie rimpiangono e lodano il passato: la giovinezza, le origini, il come e dove eravamo. Che andava meglio quando andava peggio, che non è vero. Disamori, tristezze, stati d’animo, disincanti, crepuscoli. Tramonti che sanno di esserlo, senza fingersi albe. Le albe verranno. Credere senza fanatismo. Relativo senza assoluto. Essere senza definizione. Malinconie del presente e del futuro.

Perché, lento, opaco, pesante, smemorato, una convinzione però lo sosteneva, pur senza verità, senza certezze. A senso l’aveva capito. A quel paese chi dice la politica fa schifo e tutti rubano, tutti sono uguali! Al diavolo chi non vota e lascia agli altri votare e decidere! Ignavi. Con i democratici nel bene e nel male. Tutta la vita o quel che ne resta. Sempre meglio la peggiore delle democrazie della migliore delle dittature. Non bastava, ma lo sentiva, l’aveva imparato senza prediche, dogmi o catechismi. A sinistra. Progressisti, senza la sufficienza inutile o dannosa degli estremismi. Con la Repubblica. Mai monarchici: dinastie estenuanti, interminabili esequie! Nemmeno borghesi, aristocratici piuttosto, secondo l’origine del termine. Rifuggire totalitarismi, autarchie, oligarchie di ogni segno o colore. Mai con i fascisti: neo o post. Mai populisti, sovranisti, nazionalisti, razzisti, xenofobi. Mai a destra. “Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. E se la gente va in quella direzione, fanculo la gente. E amen. Solidali, liberi, uguali. Tristi o felici. Un mondo a misura di uomo e di natura. Una vita più giusta, un paese migliore. Sogni che dilatano il tempo e hai solo chiuso per un momento gli occhi. Malinconie, malinconie, malinconie.

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati