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mercoledì 16 ottobre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

FINAL Adeus commissario Favati

di Marco Celati - mercoledì 19 febbraio 2020 ore 09:59

A chi va e chi resta

Ai miei cari

Per loro

INTRODUZIONE AL FINALE

Devo trovare un finale. Uno degno. Triste y solitario, avrebbe scritto Osvaldo Soriano, ma lui era uno scrittore. Per chi? Chiederete. Ma per il commissario Favati! Al secolo Nedo. Infatti di un altro secolo è. Valderopiteco, poliziotto in pensione, divorziato da tempo, un fratello professore, un figlio, un gatto nero portasfiga, regalo del figlio e a lui rifilato, il mio commissario si era rifatto una vita a Mindelo, Isola di São Vicente, Arcipelago di Cabo Verde, Oceano Atlantico, al largo del Senegal. E a Mindelo, patria di Césaria Évora, regina della Morna, dove collabora con il Festival Sete Sois Sete Luas, ha incontrato Pilar Dias, bella creola, un po’ più giovane di lui, ex insegnante di balli caraibici e non, con cui intrattiene un’affettuosa relazione di amicizia e non. Nel senso di più che amicizia. La polizia locale gli affida dei casi che il Commissario risolve un po’ per esperienza professionale, un po’ per istinto e parecchio per caso. D’altra parte se son casi... Perché anche sulle isole del Paradiso è presente il male. E il caso ovunque è ciò che ordina le cose. Alla fine di ogni storia, Pilar lo bacia sempre, sotto la luna, le stelle, un lampione oscillante al vento degli Alisei, su una terrazza che guarda mare, che sarebbe l’Oceano, sulle isole più belle del mondo, alla deriva della vita e dell’amore. E immancabilmente gli ricorda che è un perfetto cretino. Così. Perché lui le chiede se gli vuol bene e lei forse gliene vuole davvero.

Ho scritto due raccolte sulle gesta del nostro antieroe: “Il commissario Favati, delitti in Paradiso” e “Il nuovo Favati, quattro indagini del commissario”, usciti su Qui News Valdera e pubblicati come e-book su Amazon per non sciupare carta e alberi, che non vale la pena. Troppo si scrive, poco si legge e la foresta Amazzonica già brucia di suo. I racconti del mio commissario letti poco, acquistati meno, regalati molto. Scrivere è piacevole, anche se faticoso e che si legga ciò che uno scrive è una speranza o unillusione. Un obbligo, certo no. Sì, il commissario Nedo Favati è un antieroe o forse, concediamoglielo, un eroe, mancato di parecchio. Gli ho affibbiato quel nome e soprattutto quel cognome, perché questo fosse e tale rimanesse.

E così siamo arrivati alla fine del mondo, del mare, della vita, della storia. Perfino Pilar non c’è più, un brutto male, improvviso, se l’è portata via. Quando il personaggio di una storia scompare è perché il racconto imita e rispecchia la vita che è malevola come chi la raffronta e la scrive. È comunque un delitto, alla fine, far morire qualcuno caro. Ma tant’è. Ormai il commissario è rimasto solo e sopravvive a se stesso. Perché si può fare a meno di tutto, tranne un poco di amore. E allora davvero occorre un finale. Con tutto quel niente che segue.

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FINAL

Adeus commissario Favati

L’amore fu per noi una rovina. Fu dall’amore che a me venne il dolore. Veramente nell’opera “Andrea Chenier” si dice esattamente il contrario: “fu in quel dolore che a me venne l’amore”. Ma in questa storia di un altro mondo tutto è rovesciato.

L’amore per un’altra vita su queste isole del paradiso che aveva portato un’albergatrice italiana ad aprire un B&B a Sal e l’amore per la bella vita, per lo sballo, lo spaccio e i paradisi artificiali che ha portato un altro italiano, kick-boxeur e culturista, ad ammazzarla a mani nude, occultandone il cadavere in una cisterna.

E l’amore per il prossimo di un cooperante italiano, assassinato a Fogo in circostanze misteriose? E l’uccisione a Mindelo di una prostituta francese che dispensava amore a poco prezzo, tranne quello della sua vita? E la morte del gestore spagnolo di una pousada a Praia, dove l’amore si prenotava su appuntamento? Tre delitti, questi ultimi, ancora irrisolti. Dolore richiamato in qualche modo dall’amore.

Il capitano Perez, comandante della polizia di Mindelo, si era rivolto al commissario chiedendogli di collaborare alle indagini. Altre volte in passato questa collaborazione era stata fruttuosa.

- Commissario Favati, abbiamo bisogno di una mano.

- Non sono più commissario da tempo, ormai, lasci perdere Capitano, non me la sento.

- Nel nostro mestiere, i gradi ci restano cuciti addosso, la sua esperienza può essere preziosa.

Il Capitano parlava bene l’italiano, per fortuna, perché il commissario il portoghese no. E senza Pilar che lo aiutava con la lingua faceva fatica a farsi intendere.

- Mi dispiace per Pilar, era una donna meravigliosa, so che le manca molto Nedo, manca a tutti noi.

Pilar se n’era andata. Una leucemia fulminante in poco tempo se l’era presa, la sua Pilar. Di tutta una vita, un’esistenza, un figlio mancato, la scuola di ballo, un marito morto e poi il suo commissario, di tutto questo affastellarsi di gioie e di pene, non restava più niente. Nemmeno un racconto, soltanto ricordi che portavano dolore. Sembrava un femminicidio commesso dalla vita stessa, sembrava un libro scritto male. Che valeva affannarsi ancora, ancora vivere? Per cosa, se il male, se il destino si prendono in un nulla ciò che resta della vita, dell’amore, ciò che resta di noi. Il commissario non si curava più: la barba incolta, i vestiti trasandati, sembrava ancora più vecchio di quanto non fosse già. Stava ore e ore sul terrazzino dell’appartamentino in affitto, sul vecchio porto di Mindelo a fissare il mare, specie la sera e la notte. Sul terrazzo scialavano le cicale la loro nenia di caldo. Resisteva finché le zanzare vampiro non avevano la meglio. Non riusciva a leggere né a scrivere. Andava a letto tardi e ci restava. Si dimenticava di mangiare. Poi usciva quando non c’era più niente da fare. Gli sfuggiva l’urgenza delle cose.

Girovagava per il porto e i bar, beveva qualcosa, ma non era un bevitore, non uno di quelli almeno che affogano le pene nell’alcol, la sua pensione non era granché, ma là era tassata meno e così bastava. Un’occhiata distratta ai giornali, un volantino lasciato sui tavolini di un bar. “Alisei” con la A cerchiata come di Anarchia. Un comunicato delirante di un gruppuscolo dell’autonomia. Anche qui.

Il mondo sembra non avere fine, né freni inibitori. Come i bambini che non li hanno o i vecchi che li perdono. Questi qua sostenevano l’indipendenza delle isole dalle lusinghe velenose del mercato, del capitalismo, del turismo, degli invasori stranieri. E rivendicavano il ritorno allo stato primitivo di natura, senza Stato, né bisogno di leggi borghesi, né sbirri, né miti di crescita e di falso progresso: solo comunità ristrette al villaggio, senza violenza ed abusi. E proclamavano un’insurrezione latente che è una forma di violenza e di abuso, ma giusta perché in nome del popolo. E in nome del popolo senza nome, tutto sembra permesso. “L’anarchia gliè una bella ‘osa, ma il socialismo gliè più reale”, dicevano in Toscana, dalle sue parti. Lui aveva sempre pensato che non fosse nemmeno una bella ‘osa. Che lo stato primitivo dell’umanità non era esente da malvagità e violenza, anzi! Essendo l’uomo una mistura di bene e male e poi le persone scelgono da che parte stare. Ed essendo il progresso e perfino lo Stato, la comunità, cose utili. Ma lui era uno sbirro.

E l’abitudine stronza del sospetto gli era rimasta, sopravviveva al suo stato di crisi e di abbandono, così non poté fare a meno di pensare. La polizia brancola nel buio per quei tre delitti perché cerca un movente, un assassino per ognuno. E se invece ci fosse un movente unico, un’unica mano o regia? I serial killer vanno di moda sullo schermo e nei romanzi: l’arte imita la vita o viceversa? In ogni caso il prodotto non cambia. Niente più che un pensiero, un tarlo che però si faceva strada nella sua mente bacata. Cosa poteva legare i tre delitti? L’amore, la passione, ad esempio. In tutti e tre i casi si trattava di persone che dispensavano amore: un pericolo al giorno d’oggi. Poi il fatto che erano stranieri, forestieri, venuti a Capo Verde a cercare o fare qualcosa. Ma stavano in isole dell’Arcipelago lontane tra loro, che si raggiungono con lunghi viaggi per mare o con gli aerei di linea. Nessun uomo è un’isola o forse sì? A lui in fondo piaceva essere un’isola. Gli era sempre piaciuto, anche quando stava in una penisola. Gli andava bene il concetto di arcipelago: isole separate, collegate da qualcosa. Mindelo si trova nelle isole di Barlavento cioè di Sopravento e Praia e Fogo sono in quelle di Sottovento. I venti Alisei soffiano sull’Arcipelago, uniscono e dividono le isole. C’era qualcos’altro, oltre a questo, che poteva accomunare le vittime e i delitti? Su questo bisognava indagare ad averne mezzi e sopratutto forza e voglia. Spirito. Ciò che a lui ora mancava.

Né parlò con Perez. Certo, le cose viste da un altro punto di vista cambiano forma. Le indagini ripartirono con questo nuovo indirizzo. Però niente sembrava tenere insieme i tre delitti. Le modalità delle uccisioni erano diverse, pistola in un caso, arma da taglio negli altri due. Gli uccisi non si conoscevano, non avevano nessuna relazione in comune. Strano, obiettava il Commissario, in un mondo dove tutto è interrelato, in comunicazione. Aveva solo un sospetto, un traccia, debole. Non lo disse a Perez. Non c’era nessuna prova, solo l’intuito di un vecchio poliziotto.

La sede centrale di “Amazzonia” stava a Mindelo, dalle parti del porto vecchio, in prossimità dell’imbarcadero, un grande magazzino, dove le merci provenivano e venivano smistate per mare o per gli aeroporti, fino a destinazione. Come si legge che l’assassino torna sempre sul luogo del delitto -una cosa sicuramente ad uso di gialli e scrittori per risolvere la trama- così il commissario riprese l’abitudine di giraccolare con aria distratta intorno al porto. Indagava. Gli veniva come atto riflesso e gli serviva anche per non pensare, per distrarsi dai suoi lugubri pensieri. Bazzicava nei locali vicini all’imbarcadero, nonostante il capitano Perez si fosse raccomandato.

- Por favor, commissario, ci pensiamo noi, non si esponga, è perigoso, muito perigoso.

Desculpe, capitano, è più forte di me. E poi mi aiuta a vivere, pensava Nedo. Così quasi ogni mattina e quasi ogni sera tornava nei locali del porto. Si fermava a leggere i giornali. La lingua non la parlava bene, ma leggendo capiva e poi spesso di leggere faceva finta per guardarsi intorno. Buttava lì un discorso con il titolare o qualche avventore dei bar o delle locande e si informava sui frequentatori, sui turni del magazzino. Un giorno l’occhio gli cadde su un giovanotto basso, tarchiato, baffi, barbetta e capello rasato. Si era visto spesso nei paraggi. Dalla tasca della giacca verde militare, sporgeva un foglio. Gli sembrava un volantino di quel gruppo anarchico. Sì chinò, fingendo di allacciarsi una scarpa, sì era quello. Anche uno miope come lui poteva distinguere la A cerchiata di Alisei. Questo non voleva dire niente. Quei volantini spuntavano un po’ dovunque da un pezzo a questa parte, però, anche se debole, era pur sempre una traccia. Una traccia da seguire come il tipo che se la portava dietro. Con il barista del locale più frequentato era entrato in confidenza e, parlando del più e del meno, alla fine si fece dire chi era quel tipo che se ne stava in disparte, solitario, schivo, davanti al suo bicchiere di grog, un distillato della canna da zucchero prodotto soprattutto nei trapiche delle isole di São Nicolau o Santo Antão, che tracannava a qualsiasi ora, mattina o sera.

- Chi? Quello? Quello si chiama Hernani, Hernani Estevão, detto “Bento”.

- Perché “Bento”? Vuol dire vento, in creolo? E benedetto, in portoghese?

- Entrambi, perché è un invasato, sbuffa subito e está louco. S’incazza...

Buono a sapersi. Hernani, che nome da tragedia! E, siccome gli avevano raccomandato prudenza, tornato a casa rispolverò la sua vecchia Beretta d’ordinanza, calibro nove. La smontò, la pulì, la rimontò come si vede fare nei migliori film o si legge nei gialli migliori. Gli vennero a mente le poche volte che in Italia l’aveva dovuta usare e qui a Capo Verde. Non gli piacevano le armi e chissà se sapeva ancora prendere la mira e sparare. Gli veniva un senso di fastidio e di inquietudine soltanto a pensarci. La sera prese una pizza da asporto alla Taverna, in rua Cristiano de Sena, non lontano da casa. In genere disapprovava chi ricerca la cucina del proprio paese dovunque si trovi e ristoranti italiani ne trovi in capo al mondo, ma era tanto che non si concedeva una pizza. Birra Strèla nel piccolo frigo di casa ne aveva e la serata era risolta. Apparecchiò sul terrazzino. Il sole tramontava sul porto, il vento muoveva l’aria, 25 gradi non si sentivano. Pensò agli Alisei, al bento e si sforzò di non pensare ad altro. Mise su una morna, Césaria Évora naturalmente, “Sodade”, aveva imparato a farlo dal cellulare. Voleva telefonare in Toscana, al figlio Lucandrea, una crasi tra i nomi su cui con l’ex moglie erano rimasti indecisi. Sentire del nipotino nato da poco, Andrea Mario, che proseguiva l’incertezza di famiglia per i nomi, ma non si ricordava che ore erano in Italia. Non aveva mai memorizzato bene il prima e il dopo, anzi aveva cercato di lasciarsi andare al flusso del tempo. Rimase così fino a tardi a fissare l’Oceano, le barche da pesca che muovevano verso il largo, l’orizzonte in fuga, la luce rara di una petroliera -il varco è qui?- fino a che arrivò Pilar, con il sonno, che lo baciò e gli disse sei un cretino, smetti di sognarmi, lasciami andare. Invece lui avrebbe ballato con lei tutta la notte, come non aveva mai fatto, ora che non poteva farlo più. Si svegliò che piangeva e sentiva freddo, nonostante il caldo della notte stellata.

Si alzò presto, il sole era per sorgere, albe e tramonti si inseguono sulle isole alla deriva nell’Oceano e quasi si confondono. Si fece la barba. Indossò la sua maglietta grigia, i jeans blù sformati e la sahariana chiara, leggera. Nella tasca sinistra portafoglio e cellulare bilanciavano il peso della pistola nella destra. Il bar era quello del porto, vicino al magazzino dove partivano le spedizioni di “Amazzonia”. Ordinò un caffè, una ciofega lunga, prese il giornale. “Expresso das Ilhas”, un settimanale di Praia, la capitale: “União Europeia apoia cinco novos projectos em Cabo Verde”. Uno di questi era promosso dal Festival Sete Sóis Sete Luas, a cui anche lui aveva collaborato. Il Festival era nato a Pontedera. Suo fratello, professore, ormai in pensione anche lui, abitava ancora là, in Valdera, dalle sue parti. Un po’ di nostalgia che lasciò salire leggendo. Quando riemerse dalla lettura, il suo uomo era davanti a lui, sfogliava nervosamente “Artiletra”, la rivista di Mindelo, seduto contro la parete che non si sapeva chi controllava chi.

«Attento, commissario» una voce interna gli disse, e più che la sua sembrava quella di Pilar. «Muito perigoso» e questa somigliava a quella del capitano Perez. Poi il tizio uscì. Il commissario lasciò passare un minimo di tempo, si alzò, dalla vetrina del bar vide la direzione che Hernani Estevão, detto Bento, aveva preso e si mise a seguirlo. Andava oltre il magazzino, verso il vecchio molo deserto, che si allungava in mare aperto, nel grigio rosa del giorno, appena dopo l’aurora. Uno scenario che non si addiceva ad un pedinamento, al male che incombe, tuttavia prese il cellulare e mandò un messaggio a Perez: nome cognome dell’uomo soprannominato Bento e dove si trovavano ora. Poi attivò il registratore e rimise in tasca il cellulare. Mai fidarsi delle albe, i tramonti sono più veritieri. «Attento, commissario», ex in realtà, Pilar ti chiamava così e te ti schermivi e ti commuovevi ogni volta che lo faceva. Le mani nelle tasche, la destra stringeva la pistola. Questi pensieri lo distrassero, aveva perso di vista il tipo, quando improvvisamente, dalle scalette alla fine del molo, se lo trovò davanti.

- Eu sei quem você é, policial! Homem de bosta! Não entendes? Traduco: so chi sei, sbirro di merda! Che vuoi? Che cerchi?

- Parli italiano?

- Ho studiato in Europa.

- Sei di quel gruppo di anarchici sciroccati?

- Io, anarchico? Di quegli illusi di sinistra? No, nunca. Mi sono infiltrato tra loro. Perché è vero che voi stranieri venite a rovinare Capo Verde con i soldi, le case e gli alberghi, la droga, la corruzione e i vostri aiuti merdosi che stanno cambiando le nostre isole. Siamo ancora in pochi a pensarla così, i giovani, ma diventeremo tanti. Vogliamo riprenderci la nostra patria per dargli un capo e un ordine nuovo. La nazione di Capo Verde. Vi faremo fuori e quando capirete che qui per voi non è il Paradiso, ma l’Inferno, il pericolo, ve ne tornerete tutti a casa vostra!

- Ma se siete creoli, originari del Portogallo, dell’Africa e del Brasile? Se avete nel cuore la morabeza, come la teranga dei senegalesi!

- In culo la morabeza, non siamo più un ex colonia, noi siamo di Capo Verde e basta. Entendeu?

- Il cooperante italiano a Fogo, la prostituta francese a Mindelo, il gestore spagnolo della pousada di Praia non hanno niente in comune, se non che sono stranieri. Li hai uccisi te. Non è così?

- Sei sveglio sbirro, ma hai finito di rompere i coglioni...

Il commissario aveva gli occhi contro il sole ancora basso sull’orizzonte. Infide albe. Speranze mal riposte. Da dove spuntava il coltello? La lama luccicò un istante e si piantò tre volte a destra nel torace. Il fegato, cazzo! Uscì un fiotto di sangue caldo, il commissario si piegò sulle ginocchia. Ma nemmeno Bento si accorse della pistola impugnata nella tasca. Due colpi lo presero in pieno, fece qualche passo indietro e cadde supino. Rantolava, il vento maledetto che lo aveva animato si stava spengendo.

Il commissario rimase a terra piegato su un fianco. Alla fine la vita è questa e questa è la fine? Tante parole, tante storie per un racconto appena iniziato. Meritavo una storia migliore, pensava, scritta meglio, perfino un nome più adatto ad essere ricordato. E che Pilar non morisse. Ma che vale il ricordo. Pensò ai suoi cari, perfino al fido Calò, il suo vecchio attendente in Italia, pensò alle isole più belle del mondo nel mezzo al mare Oceano, sotto le stelle, la luna, nel vento degli Alisei senza la A cerchiata. Aveva avuto la fortuna o la sventura di due vite. Ma non era bastato e in fondo era stanco. Quando si muore, si muore soli. L’aveva sempre saputo. Fece in tempo a vedere i lampeggianti della polizia che arrivava.

Alla fine una cosa era venuta fuori dalle indagini, controllando i computer, proprio la comunicazione: tutte e tre le vittime avevano ricevuto pacchi postali, ordinati on line, ad “Amazzonia”, l’azienda locale di servizi e-commerce. Tutti nelle isole usavano quel servizio. Hernani Estevão, lavorava nel magazzino, era un corriere. Aveva recapitato lui il pacco ai tre malcapitati. Il capitano Perez aveva ricevuto il messaggio. Troppo tardi, però.

Il commissario Nedo Favati giaceva riverso contro il sole nascente sopra un molo in disuso proteso verso il mare, su un’isola dell’altro mondo. Sentiva dolore, sanguinava e aveva voglia di piangere e pisciare. Siamo fatti di lacrime, di sangue e di urina, siamo onde di transito nel mare della vita. Poi arrivò Pilar, piangeva anche lei, gli disse che cretino il mio commissario e lo baciò. Dopo non sentì più niente. Niente di niente.

Marco Celati

Pontedera, Febbraio 2020

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Ringrazio Marco Abbondanza, direttore del Festival Sete Sóis Sete Luas che ha aperto numerosi Centri a Capo Verde, per le segnalazioni, le note e le correzioni del portoghese, nonché del creolo capoverdiano. Ringrazio Eugenio Montale per tutto e per “La casa dei doganieri” in particolare.

Marco Celati

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