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RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Distanza

di Marco Celati - martedì 01 gennaio 2019 ore 06:00

Ma ci sentite di là? Di là dal mare, di là dal cielo e dalla terra, da dove trasmettiamo. Perché in questa distanza siderale in cui ci troviamo immersi non giunge più nessuna voce. Forse si propagano onde, forse il passaggio incessante di particelle impercettibili avrà luogo, ma noi non lo sappiamo. Giaciamo nel disinteresse della materia ad avere una fortuna ed un destino. Il calcolo aleatorio delle probabilità coinvolge anche i sentimenti, secondo il teorema dei valori estremi: una teoria di cui siamo certi e inconsapevoli, una variabile casuale. Quante volte il rischio si ripeterà, che incidenza avrà sulla sorte, quale portata di piena straordinaria travolgerà la vita non possiamo prevederlo, ma solo considerarlo e quantificarlo possibile. Una gran cosa la statistica. Tutto perviene attraverso la conoscenza dell’essere umano e della natura. Tutto, tranne forse l’amore.

In queste incommensurabili distanze ci siamo persi e ritrovati per perderci lentamente, inesorabilmente. La vita, più delle rivoluzioni, non è un pranzo di gala. Il caso si presenta come un errore e l’errore stesso è un caso. Finisce l’anno. Ho spento la luce, attendo il sonno e non sento più nulla, non un sogno, un grido o un’allegria, niente giunge nella distanza. Dopo i botti ed i fuochi nulla tiene. Soltanto il buio e la costrizione degli eventi. La vita non vita che non ci appartiene. Una mail inaspettata che non avrà continuazione, un messaggio dal passato che estenua il presente. Niente che faccia pensare a un cambiamento possibile e nessuno che ci ascolti o ci consoli.

I valori estremi non offrono certezze. Certa è la fine, lo svolgimento incerto. Vorrei sentirti, ma non ti sento. Come in una radio senza sintonia, si avverte un silenzio senza voce. Un fruscio indistinto che giunge fino a noi, da chissà quale stazione dimenticata, da quale stella spenta e ancora soltanto apparente. La freddezza delle stelle è proverbiale, una costante di cui meglio non dire. Anche se sono astri senza vita ed è di là che forse proveniamo, ciò però è diverso da divinare dai pianeti le asprezze delle nostre orbite terrestri. O le perfette, mirabili ellissi. Ma io qua mi sento come un faro abbandonato nella tempesta che viene.

Vorrei dirvi che no, non c’è niente di cui disperare, che il mondo è buono, giusto e gioioso e la vita viene da sé, che non è un’ordalia, un giudizio di Dio inventato dagli uomini. Perché la vita è senza giudizio in tutti i sensi e così e perciò va vissuta. E forse siamo orfani di nessun Dio, che è un modo migliore per dire che non c’è o che ci manca. Non sento nel buio nessuna eco della nostra esistenza. Una traccia del nostro passaggio c’è, ma se ne perdono le impronte a volgersi indietro, né davanti ci sono indicazioni sicure, come su un deserto spazzato dai venti. Come la scia della nave che svanisce nell’onda. E un viaggio solo da sognare.

Del resto la vita non è nemmeno un bottino di guerra usurpato o acquisito una volta per sempre, somiglia più a un prestito contratto a caro prezzo ancora da estinguere per poi essere reso o tramandato. Non lascio niente dietro di me, non ricchezze o beni materiali e avanti a me non saprei dire. Dopo ci saranno i miei a rifare intero il cammino e solo un breve lascito di memoria, prima dell’oblio che tutto comprende.

Ecco, ci siamo, ci sentite da là? In questo sfondo infinito siamo come ombre nella notte che farà. Italiani da altrove. Vorremmo brindare al nuovo anno insieme. Abbiamo attraversato così tanto mare, così tanta terra per bisogno ed avventura. E da dove trasmettiamo la distanza è mediterranea e atlantica, la memoria cattiva e vicina. E nessun tango, nessuna donna, nessuna fotografia ci basterà. Nessuna nave più ci salverà.

Il trasporto ottimo di massa ci conduce, ottimizza i percorsi di uomini e di merci, posto che sia libero e giusto il percorso dato. Una gran cosa la matematica. La marcia dei poveri del sud finisce addosso ad altri poveri e ai confini dei ricchi si alzano muri di fili spinati e di eserciti. Di stati e di mercati. E si vedono bocche gridare, ma non si sente nessun suono, perché è saltata la sintonia tra ciò che si vede e quello che si sente. Il satellite è oscurato e l’abisso prossimo e profondo. Dalla distanza non giunge più nessuna voce umana.

Quali siano i valori estremi e quale l’ottimo trasporto saranno numeri a dirlo, oppure la mente, oppure il cuore. Forse bisognerebbe aver avuto il coraggio di essere più soli per essere più amati. Di certo bisognerebbe dare un tempo al tempo, un significato al significato, una voce alla voce, una società alla società. Meglio che lasciare una distanza alla distanza perché forse è nella vicinanza, nella prossimità che si giustifica la vita e che si adempie.

Auguro a tutti voi, amici distanti, di avere tempo, voce e significato. Di avere società ed essere amati. Un nuovo anno di maggiore vicinanza.

Marco Celati

Pontedera, 31 Dicembre 2018

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Grazie a Emil Julius Gumbel (1891-1966) statistico tedesco, pacifista, esule socialista e oppositore del regime nazista, per la teoria dei valori estremi. Ad Alessio Figalli, giovane matematico, per lo studio sul trasporto ottimo di massa. E a Ivano Fossati, cantautore, per “Italiani d’Argentina”: una gran cosa la musica leggera. La foto è di repertorio, la rielaborazione grafica e pittorica dell’autore.

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati